Scegliere quale sia la cosa giusta è difficile e se la vita non ti aiuta devi agire da te. L'amore e l'amicizia?...Quanto sono difficili i 15 anni...Da qua giù...
Le prime luci mattutine erano il mio scenario preferito. Un panorama eguale a pochi. In esse era contenuta quella semplicità difficile da trovarsi in una qualsiasi altra circostanza. Era questa la mia routine. Svegliarmi all’alba per osservare come quella grande sfera asimmetrica troppo luminosa per l’occhio umano, sorgeva lentamente e pian piano rischiarava il verdognolo paesaggio.
Affacciarmi alla finestra era un lusso in quanto lo studio non mi permetteva di allontanarmi dal libro per tutti i pomeriggi, escluso il week- end in cui accompagnavo Vera alla chiesa per la messa domenicale. La mia vita sarebbe stata ben definita insulsa e monotona. Ero la normale ragazzina quindicenne, nulla di più, nulla di meno confronto alle altre. Probabilmente la mia particolare apprensione verso ogni minima incertezza e questione preoccupante aveva reso la mia mentalità chiusa ad una limitata successione d’avvenimenti che erano all’ordine del giorno. Conoscevo la mia natura cinica, ma cercavo di darlo poco a vedere. Tranquilla, poco socievole ed introversa, cercavo di tenermi alla massima distanza da tipi poco raccomandabili che nel mio caso erano costituiti dalla maggior parte degli studenti del liceo. L’unica persona di cui mi fidassi ciecamente e con cui avevo condiviso la mia lunga e solitaria vita era Anthony, nonché mio migliore amico. Per quanto sapessi i pericoli che prepotentemente potevano spianarsi la strada tra le amicizie, non riuscivo a fare almeno di lui. Era la mia famiglia, quella che ai miei primi mesi di vita aveva permesso che fossi spedita in un istituto e poi riconosciuta come Samantha McClansy da mia nonna, con cui vivevo.
River Drive era il luogo in cui trascorrevo i miei lunghi e piatti giorni e le buie e insonne notti. Il tanto studio mi procurava uno scarso riposo ed era difficile non notare le pesanti fosse instaurate sotto gli occhi azzurrognoli, ereditati probabilmente dal mio defunto nonno. Davano colore, o cercavano perlomeno, al viso ovale e perennemente niveo. La stanchezza che andava accumulandosi si notava dai miei abituali comportamenti. Poco sveglia, era solito che camminassi con quella postura ricurva, mentre accompagnavo il passo ritmato dei miei piedi al dondolio delle braccia. E rendeva ancor più l’idea di questa mia malformata usualità con l’accordato movimento ondulato dei miei lunghi capelli castani che perennemente lasciavano scoperta la spalla per coprire quasi del tutto le clavicole e poco dell’esiguo seno. La mia quotidianità era perlomeno, anche se non assiduamente, scossa da Anthony. Infatti, quando ne aveva l’opportunità, mi faceva una visitina e ci scambiavamo le novità del proprio quartiere, abitando in due realtà completamente differenti. Lui era il ricco, bello e brillante figlio del produttore discografico Steven Fennirey, mentre io ero l’indifesa e insulsa ragazzina, povera e fuori dagli schemi della perfezione che tanto tormentava il mondo e con sé le adolescenti. Preferivo concentrare le mie energie sulla scuola e sulla cura della casa, data l’indisposizione per le faccende domestiche di mia nonna che usavo chiamare Vera.
Quel mattino intravidi una figura poco riconoscibile che pian piano si avvicinava sempre più. Era Anthony. Scesi subito le scale e con pigiama e ciabatte aprii con forza la porta e lo abbracciai…
-Ant che bello…Sei venuto allora…Credevo avessi da fare con le lezioni di pianoforte stamattina??...
- Si, ma per vedere la mia migliore amica infrango qualsiasi regola…-
-Ma sai quant’è pericoloso…Tuo padre, se ti scoprisse qui con me…:”gentaglia popolana”, ti punirebbe a vita…Devi essere prudente…- dal mio tono trapelava la massima preoccupazione e ansietà che era poco notabile dato che la mia cadenza era simile.
-Ma che…Non lo scoprirà…- sorrise nervoso, si riusciva a comprendere quell’insicurezza nelle parole – E poi non resterò molto, solo cinque minuti per poterti abbracciare, mi sei mancata troppo durante la settimana…- teneramente mi osservò, stringendomi a sé…- Sai, Anny sarebbe voluta venire ma aveva degli acquisti da completare, e quindi…- concluse triste.
Anny era la sua ragazza. Splendida, solare e vivace. Viveva nel quartiere di Anthony e occupava la maggior parte del suo tempo in cause ambientali e attiviste. Considerava la natura tanto importante da trascorrere ore a cercare un rimedio per risolvere i vari problemi. Non le davo tutti i torti, ma per me era tempo consumato male dato che difficilmente avrebbe trovato una soluzione.
-Non fa niente…Sarà per la prossima volta…- intanto eravamo entrati in casa. – Allora qualche novità dal mondo delle star ?...-
- Mmm…Pettegolezzi vari, sai come siamo noi ricconi…- e mi diede un buffetto sul mento.
-Si…Ne ho una davanti…Forse il peggiore…- Era solito tra noi parlare con quell’ironia che ci permetteva di sentirci uniti e avere qualcosa in comune, dato che entrambi eravamo molto sarcastici.
-Forse??...Io sono il peggiore…- Finalmente entrambi ridemmo cercando di non svegliare Vera che ancora ronfava nella sua stanza al secondo piano.
-Ah, quel giorno in cui ci siamo conosciuti l’avrei dovuto capire da quella terribile maglia con incise le parole “ I’m very happy”. Era davvero la peggiore che avessi mai visto, con quel rosa acceso. Illuminavi le strade, sai??...- sul mio volto un sorrisino divertito si disegnò quasi volontariamente.
-Ancora con questa maglia??...Era un regalo di mio zio, preside dell’asilo…Comprendimi…- si mosse come per chiedere carità…
-Ah, per oggi sarò buona…Ma quella maglia voglio rivedertela addosso…Metteva in risalto i tuoi occhi marroni…Sono così chiari e lucenti…-
- Certo, quando mio padre mi permetterà di vederti allora la metterò con grande piacere…- Gli diedi una barretta di cioccolato e gli sorrisi…
- E’ meglio che vada adesso…-
-Si…- Lo accompagnai fuori dalla porta e lo salutai, mentre s’incamminò per la strada.
-Ricordati della maglietta…- urlai così che avesse potuto sentirmi…Levò la mano in segno di consenso e poi scomparve dietro l’angolo.
Le casualità impreviste della vita mi avevano permesso di conoscerlo. Era un piccolo birbantello, vivace e imprevedibile. Con i genitori visitò un giorno l’orfanotrofio in cui mi trovavo e mentre i suoi osservavano l’edificio di cui avrebbero voluto farci una casa discografica, lui s’infilava ovunque e si ritrovò nella mia stanza. Mi osservò per cinque lunghi secondi per poi avvicinarsi e chiedermi con aria divertita…-Sei un fantasma?...- Io non risposi, avevo paura di tutti e mi allontanai, nascondendomi sotto uno dei tavolini. Lui mi si avvicinò e mi porse la mano. Non so come e non so perché ma afferrai la sua mano e avvertii quella sensazione di sicurezza e tranquillità. Così da quel giorno continuò a farmi visita all’oscuro dei suoi genitori. E quando mi trasferii da mia nonna, cercò di venirmi a trovare ma difficilmente riuscì, data la lontananza da casa.
Ora finalmente aveva diciassette anni e gli era più facile raggiungermi, anche se il padre continuava a ribadirgli di come fosse contrario a quest’amicizia.
Ripensavo spesso a quella situazione e dentro me nasceva quella rabbia che non riuscivo a reprimere se non piangendo sola e nel silenzio assoluto.
Scacciai quei pensieri terribilmente sofferenti per me, e mi preparai per uscire. Dovevo fare compere per Vera, come ogni sabato mattina.
Dopo un’oretta afferrai le chiavi e uscii, sicura che abitualmente nulla sarebbe successo, ma quel giorno si rivelò sorprendentemente diverso dagli altri.